"Pubblica Amministrazione e impresa di servizi pubblici: i modelli di governance"
29 luglio 2015 - I modelli di governance delle società partecipate sono stati l’oggetto dell’approfondimento proposto nel primo webinar del ciclo dedicato al governo delle partecipate coordinato dal Prof. Giovanni Valotti e realizzato nell’ambito del Progetto Valutazione delle Performance del Dipartimento della funzione pubblica in collaborazione con FormezPA.
Attraverso una ricostruzione del percorso delle public utilities nell’esperienza nazionale e un approfondimento su uno dei casi più rappresentativi in termini di evoluzione dei modelli di governance (A2A), sono stati sviluppati alcuni dei principali temi manageriali attinenti alla relazione tra Pubblica Amministrazione e impresa di servizi pubblici.
Nel corso del webinar sono state raccolte diverse domande dal pubblico di cui si riportano le più significative con le relative risposte.
Quali devono essere le differenze tra impresa pubblica e privata, se differenze significative ancora esistono?
L’impresa pubblica deve avere l’ambizione di essere più efficiente delle imprese private (anzitutto perché gestisce risorse pubbliche), comportandosi comunque da impresa, vale a dire garantendo l’equilibrio economico di lungo periodo e la produzione di utili di bilancio capaci di finanziare gli investimenti. È necessario uscire dall’ambiguità di pensiero secondo cui l’impresa pubblica dovrebbe avere un minore orientamento alla gestione economicamente efficiente. Al contrario, l’impresa pubblica deve essere competitiva sul mercato e produrre valore economico per garantire la sostenibilità di lungo periodo.
All’origine del dibattito sui modelli di gestione delle imprese pubbliche locali c’è il concetto di municipalizzazione, con la volontà degli Enti locali di estendere su tutto il territorio livelli essenziali garantiti di servizi pubblici (tramite, ad esempio, l’estensione delle reti per il raggiungimento dell’”ultimo utente”, anche isolato, anche se non economicamente conveniente). Le aziende municipalizzate, che non avevano autonomia giuridica, erano una mera emanazione del Comune, in cui la proprietàed il management coincidevano; l’Ente garantiva il mercato, chiedendo in cambio qualità dei servizi.
Il processo di evoluzione dei modelli ha portato alla creazione di aziende speciali, con personalità giuridica propria, ma forte legame con gli Enti pubblici.
A partire dalla fine degli anni Novanta è iniziato, poi, un processo di trasformazione della forma giuridica, con la conversione di queste aziende in società di capitali, e la conseguente soggezione alle regole del diritto civile. In questa fase è cominciata, nella forma,una separazione dei ruoli di proprietà e del management.
Tale processo di separazione si è completato nel passaggio a modelli ad azionariato diffuso.
Questo percorso si è accompagnato, sul versante dei mercati, ad un passaggio da una situazione monopolistica ad una progressiva liberalizzazione.
L’esperienza della governance delle public utilities si sta quindi muovendo, sempre più, verso una situazione analoga a quella che caratterizza il tema nel caso delle imprese private: si chiede alle public utilities di esser, sempre più, imprese che opereranno in contestipienamente competitivi, che richiederanno competenze crescenti e crescenti gradi di autonomia al management, e conseguentemente un esercizio maturo del ruolo della proprietà.
Tuttavia, non possiamo dire che il funzionamento di una impresa pubblica possa essere accomunato a quello di una qualsiasi impresa privata: se dal punto di vista formale-giuridico non c’è più differenza, tuttavia, la presenza nella compagine sociale di un azionista pubblico implica sempre che la dimensione territoriale pesi in maniera determinante, bilanciando le aspettative di ritorno economico con l’utilità dei territori in cui la public utility opera.
Gli azionisti pubblici, inoltre, sono azionisti “poveri”; i Comuni, infatti, non hanno risorse da investire, ma hanno una crescente attesa del ritorno sull’investimento (es. dividendi), e allo stesso tempo esigono standard qualitativi alti e stabili e tariffe basse: una combinazione difficile da sostenere per una impresa, quale che ne sia la natura (pubblica o privata). L’apertura prudente del capitale delle public utilities ad altri soci, non necessariamente pubblici, è un modo per “ossigenare il sangue” delle imprese, immettendo liquidità fresca, senza tuttavia perdere la capacità di controllo del soggetto pubblico.
Esistono alcune esperienze locali in cui sono stati stipulati dei patti parasociali che prevedono l'istituzione di tavoli di coordinamento tecnico-politico, per discutere delle decisioni più importanti o per affrontare temi particolarmente delicati. Qual è l’utilità di questi strumenti e a quali esigenze rispondono?
La costituzione di organismi (es. tavoli) su questioni strategiche può supportare l’Ente nell’esercizio dell’indirizzo, lasciando autonomia alle imprese senza perderne il controllo.
Il problema della corporate governance infatti nasce, tipicamente, nelle imprese private, che si trasformano da padronali (in cui il fondatore coincide con il proprietario, che coincide con l’amministratore), crescono e diventano imprese multi-azionisti (c.d. public company, ad azionariato diffuso). Quando un’impresa ha molti azionisti, si separa il ruolo della proprietà da quello del management, che è chiamato a gestire l’impresa. In questo passaggio, esiste il rischio che i manager non gestiscano l’azienda nel pieno interesse degli azionisti, attuando comportamenti opportunistici capaci di danneggiare profondamente l’azienda (come ad esempio nel caso di Enron, negli Stati Uniti, o in altri casi molto noti nel panorama italiano).
Deve esistere, pertanto, una certa distanza tra chi ha la responsabilità di gestire l’azienda e coloro nell’interesse dei quali l’azienda deve essere gestita. Nel privato il tema nasce, quindi, per “limitare l’autonomia del management”, vale a dire per far sì che gli azionisti possano esercitare i propri diritti senza che un management totalmente svincolato agisca in ragione di interessi particolari. Nel pubblico il problema è sempre stata la scarsa autonomia del management, dato che la “proprietà” (la politica) era solita esercitare forti ingerenze, sulla base di consuetudini storiche non più allineate ai mutati contesti.
Strumenti di raccordo sui soli temi strategici, quindi, costituiscono un buon compromesso per bilanciare, in maniera sostenibile, l’esigenza di autonomia del management e l’esigenza di controllo dell’azionista pubblico.
Il numero dei componenti degli organi di governo deve essere rapportato alla natura del servizio o alle esigenze del committente?
Nel comporre gli organi di governo non esiste un numero corretto di componenti. La numerosità dipende infatti dalla complessità dell’azienda (quanto è grande, qual è la natura del servizio che gestisce, etc.). È tuttavia importante identificare gli elementi costitutivi del processo di progettazione della corporate governance, e configurarli in maniera coerente con le caratteristiche dell’azienda e degli obiettivi specifici (inclusi quelli dell’azionista pubblico). Tali elementi sono:
- Gli organi di governo: quali organi devono essere previsti? Quale composizione devono avere? Quali poteri? Con quali procedure devono essere selezionati e nominati?
Questo ambito pone una questione, estremamente rilevante, di qualità del management di e competenze, oltre che sul processo di selezione e sulla trasparenza dello stesso. - Gli strumenti di incentivazione: come devono essere remunerati gli organi definiti e selezionati? Quale entità deve avere la retribuzione variabile? Quale peso deve essere dato all’attribuzione di quote di partecipazione(stock options) come strumento per veicolare il plusvalore creato grazie al management?
Attualmente, su questo punto, prevale una logica orientata alla morigeratezza, che però deve essere declinata in maniera attenta, poiché esiste un “mercato del management” delle utilities: le aziende, infatti, competono per attirare i migliori manager. - Gli strumenti di controllo: quanto è indipendente la funzione di controllo dai soggetti che gestiscono l’azienda?
Quest’ambito, nel caso delle public utilities, si esprime in maniera rilevante nel processo di distinzione tra amministratori esecutivi e non esecutivi. - Gli strumenti di rendicontazione: quali sono gli strumenti e le forme di rendicontazione necessaria a garantire la trasparenza effettiva dell’attività delle aziende?
La buona governance è quella che garantisce trasparenza sull’azione del management e, in generale, sull’andamento aziendale. I grandi crac, legati a temi di governance,sono nati e cresciuti prevalentemente grazie alla mancanza di pratiche di rendicontazione chiara e trasparente.
È quindi necessario disegnare sistemi che:
- amplino lo spazio del management, garantiscano al proprietario pubblico la tutela dell’interesse collettivo ed orientino l’attività al conseguimento di risultati economico-finanziari.
Anche nelle imprese più evolute, ci si continua a concentrare sul tema della definizione degli organi di governo: devono essere fatti ancora molti passi avanti sul piano dell’incentivazione (rendere conveniente, per chi gestisce l’impresa, fare l’interesse dell’azionista), sul piano dei sistemi dei controlli (implementare sistemi di contabilità analitica evoluti) e sul piano della rendicontazione (che non può limitarsi ad essere esclusivamente di natura economico-finanziaria).
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